
Prima delle mie due maternità, col mio lavoro viaggiavo molto spesso… Anche all’estero. Viaggi di Ricerca, si chiamano. Che in una azienda di abbigliamento significa praticamente andare a fare shopping. Il lavoro più bello del mondo, mi hanno sempre detto le amiche. Si, vero. Anche se dopo le prime volte, e dopo che in realtà capisci che non è realmente uno shopping, tutto quel fervore pian piano si spegne e diventa un automatismo, senza più il pathos iniziale.
C’è di peggio, lo so!!! Resta comunque una parte bellissima di questo lavoro.
L’altra parte emozionante, era la possibilità di viaggiare. Capitali europee e città del mondo che altrimenti non vedresti mai, un privilegio, non c’è che dire. Ma anche in questo caso, il rovescio della medaglia. Dopo la terza volta che vai a Parigi, non te ne accorgi quasi più, la Tour Eiffel la vedi solo dal taxi di passaggio, i giorni sono pochi e le vie di negozi da fare sono molte. Non sei in viaggio da turista, ma per vedere Mall, Shopping Center e vetrine.
Che per una donna resta una gran cosa, non c’è che dire. A dirty job, dico sempre.
Poi quando torni in ufficio ti senti come Cenerentola dopo la
Mezzanotte, qualche collega ti guarda scuotendo la testa e pensando che sei fortunata ad andare in vacanza mentre gli altri lavorano, peccato che il mio concetto di vacanza sia diverso da questo.
È un po’ come lavorare in un albergo al mare. Sei in un albergo e sei al mare. MA NON SEI IN VACANZA.
Detto questo, i viaggi di ricerca sono una gran bell’aspetto del mio lavoro. Dopo le maternità, peró, non mi ero più occupata di questo aspetto, non avevo più viaggiato. Guardavo le ricerche che portavano a casa i miei colleghi e vedevo le vetrine con i loro occhi, non è la stessa cosa, ma per un paio d’anni è bastato.
Settembre è stato un mese difficile, ho avuto un po’ di scontri al lavoro, incomprensioni pesanti con chi mi gestisce, stavo perdendo completamente l’entusiasmo, del quale invece ho disperatamente bisogno per andare avanti. Perché se non hai quello, se non lo ami questo lavoro, non puoi pensare di fare la vita che faccio, i chilometri, la lontananza da casa, la stanchezza, le responsabilità, i casini… Non puoi farlo se non hai passione. E non puoi chiedere alla tua famiglia di sostenerti se non dai valore a ció che stai facendo. Era crisi, insomma.
Per questo, una sola volta mi hanno chiesto “Vieni a Los Angeles?”, e dopo aver chiesto i permessi del caso e organizzato le cose in famiglia, ho detto sì. Forse prima ho detto sì, poi ho organizzato, poco importa. Perché nessuno dica mai, pensi mai, insinui mai più che io non ce la posso fare. Io posso.
E così ora sto scrivendo dalla mia stanza d’albergo a Los Angeles, sono le 4 di mattina, praticamente l’ultimo giorno, e io non mi sono ancora abituata al fuso orario. Guardo i video che mi manda Stefano con le bambine che mi salutano, ascolto i loro messaggi vocali quando non dormo, mi sento leggera e mi sento anche “guarita”. Questo viaggio mi ha fatto bene, ho vinto la mia ansia dal distacco, non avrei mai pensato di poter dormire anche una sola notte lontano da loro, invece ci sono riuscita e senza patire come avrei creduto. Mi mancano da morire, ma sono serena. E so che lo sono anche loro, a casa, con quel meraviglioso e inimitabile papà che si prende cura di tutto.
Quando ho il collegamento wi-fi e l’orario lo permette mi fanno un FaceTime, ci videochiamiamo, mi chiedono perché se stanno andando a dormire qui c’è il Sole, vogliono vedere com’è il letto dove dormo, mi dicono “ma dormi da sola?”, inconcepibile per loro che mi dormono appiccicate tutta notte. (In realtà Sveva mi ha messo in valigia il suo orsacchiotto, per sentirmi meno sola!).
5 giorni, sono anche volati.
Il mio primo viaggio dopo le maternità, un evento.
E mettiamoci anche il fatto che non sono andata nella “solita” Parigi, che sono qui, in California, a due passi da Hollywood, dentro al sogno americano.
Ho un sonno che non sto in piedi e sarà anche peggio quando torneró, quando scoccherà la mezzanotte e tornando in azienda sarò di nuovo Cenerentola…
Ma almeno, per una notte, sono stata al ballo.
Chiara.
Post dedicato a mio marito Stefano, perché senza di lui non potrei essere quella che sono e non potrei farcela, mai. È lui la roccia della famiglia. Dedicato anche alle mie bambine, che sono state bravissime mentre la mamma era via.
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